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      Il piacere della disperazione è ben conosciuto, e quando si rinunzi alla speranza e al desiderio di tutti gli altri, non si lascia mai di sperare [1546]e desiderar questo. Insomma la disperazione medesima non sussisterebbe senza la speranza, e l'uomo non dispererebbe se non isperasse. Infatti la disperazione più debole e meno energica è quella dell'uomo vecchio, lungamente disgraziato, sperimentato ec. che spera veramente meno. La più forte, intera, sensibile, e formidabile, è quella del giovane ardente e inesperto, ch'è pieno di speranze, e che gode perciò sommamente benchè barbaramente della stessa disperazione ec.
      (22. Agos. 1821.)
     
      Quelli che meno sperano, meno godono della loro disperazione, e meno anche disperano, e conservano più facilmente una speranza benchè languida, pur distinta e visibile in mezzo alla disperazione. Tale è il caso degli uomini lungamente sventurati, e soliti ed assuefatti a soffrire e a disperare. Viceversa dico degli altri. La disperazione poi dell'uomo ordinariamente felice, è spaventevole.
      (22. Agos. 1821.)
     
      Siccome non v'è infelicità che non possa crescere (p.1477.), così non v'è uomo tanto perfettamente disperato che sopraggiungendolo [1547]una nuova, impreveduta e grande sciaura non provi nuovo dolore. Anzi bene spesso quando anche sia preveduta, quando anche sia quella medesima per cui si disperava. Dunque la speranza gli restava ancora. E nessuno è mai tanto disperato che, se bene si dia a credere di non esser più suscettibile di maggior dolore, e di star sicuro nella sua piena disperazione, non sia realmente soggetto a sentire l'accrescimento del male.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913