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      Osservo però che non solo gli studi soddisfanno più di qualunque altro piacere, e ne dura più il gusto, e l'appetito ec. ma che fra tutte le letture, quella che meno lascia l'animo desideroso del piacere, è la lettura della vera poesia. La quale destando mozioni vivissime, e riempiendo l'animo d'idee vaghe e indefinite e vastissime e sublimissime e mal chiare ec. lo riempie quanto più si possa a questo mondo. Così che Cicerone [1575]non avrebbe forse potuto dire della poesia ciò che disse dell'eloquenza. Ben è vero che questa è proprietà del genere, e non del poeta individualmente, e non deriva dall'arte sua, ma dalla materia che tratta. Certo è che un poeta con assai meno arte ed abilità di un eloquente, può lasciare un assai minor vôto nell'animo, di quello che possa il più grande oratore; e produr ne' lettori quel sentimento che Cicerone esprime, in assai minor grado.
      (27. Agos. 1821.)
     
      L'ingenuità p.e. di un fanciullo riuscirebbe graziosa anche all'uomo naturale, perch'essa gli riuscirebbe non ordinaria, essendo sempre alquanto diversa dal suo proprio costume e degli altri suoi coetanei, co' quali più che con gli altri si convive, e da' quali più che dagli altri l'uomo piglia e forma l'idea dell'uomo.
      (27. Agosto. 1821.)
     
      Tanto è vero esser la grazia del tutto relativa, che gli uomini svogliati e blasés dal lungo uso de' piaceri ec. hanno bisogno di un forte straordinario per provare il senso della grazia, tanto che quello straordinario che ad essi par grazioso, ad altri par difettoso, e produce il senso e il giudizio della [1576]sconvenienza.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913

   





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