(30. Ott. 1821.)
Il fare un atto di vigore, o il servirsi del vigore passivamente o attivamente, (come fare un veloce cammino, o de' movimenti forti ed energici ec.) quando e finchè ciò non superi le forze dell'individuo, è piacevole per ciò solo, quando anche sia per se stesso incomodo, (come l'esporsi a un gran freddo ec.) quando anche sia senza spettatori, e prescindendo pure dall'ambizione e dall'interna soddisfazione e [2018]compiacenza di se stesso, che vi si prova. Nè solo il fare tali atti, ma anche il vederli, l'essere spettatore di cose attive, energiche, rapide, movimenti ec. vivaci, forti, difficili ec. ec. azioni ec. piace, perchè mette l'anima in una certa azione, e le comunica una certa attività interiore, la rompe ec. l'esercita da lontano ec. e par ch'ella ne ritorni più forte, ed esercitata ec.
Ho detto che ogni sensazione di vigore corporale è piacevole. Così anche nell'anima (e però è piacevole ogni sollevazione dello spirito, cagionata dalla lettura, dagli spettacoli, dall'orazione, dalla meditazione, dalle sensazioni esterne d'ogni genere ec.); così anche ogni atto di vigore spirituale, come risoluzioni virtuose, o energiche, sacrifizi, rassegnazioni ec. ec.
In somma, il vivente tende essenzialmente alla vita. La vita è per lui piacevole, e quindi tutto ciò ch'è vivo, venga pur sotto l'aspetto della morte. La felicità dell'uomo consiste nella vivacità delle sensazioni e della vita, perciocch'egli ama la vita. E questa vivacità non è mai tanto grande come quando ell'è corporale.
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