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      E però gli è necessario il poetare nell'atto stesso della sventura, ovvero egli non è e non si sente poeta, ed eloquente, se non in quell'atto (contro ciò che accade in ogni altro caso); temperandosi il senso attuale della sventura, colla sua radicata abitudine di soffrire, di tollerare, e di affogare, addormentare, scuotere il dolore, in modo che di queste due qualità o affezioni, o disposizioni, si viene a fare uno stato bastantemente adattato alle emozioni sentimentali, ed alla poesia ec.
      Una insolita cagione d'allegrezza, produrrebbe anch'essa, e molto meglio, simili [2162]effetti, e più veramente poetici, più eloquenti ec.
      (24. Nov. 1821.)
     
      Si vedono e si osservano tuttogiorno, uomini di goffissimo e tardissimo ingegno, incapaci non solo di eseguire ec. ma d'intendere ogni altra cosa, essere sottilissimi, penetrantissimi, prontissimi ad intendere, abilissimi nelle cose di loro professione e mestiere, e in queste vincere i più grandi talenti, anche quelli che nelle medesime cose sono abbastanza esercitati, e periti. Che vuol dir ciò? quel misero ingegno, pare assolutamente un altro nelle cose del suo mestiere, quantunque non comprenda nulla, non solo del resto, ma neanche di cose appartenenti alla stessa sfera della sua professione, nelle quali egli non sia esercitato. Ma dove egli è abituato, intende alla prima perfettamente, ed eseguisce ec. tutto l'occorrente, ancorchè si tratti [2163]di qualche novità, dentro il piccolo spazio delle sue cognizioni. Vuol dire che l'ingegno umano, non è che abitudine, le facoltà umane pure abitudini, acquistabili tutte da tutti, benchè più o meno facilmente, con più lunga o più corta assuefazione.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Prima
di Giacomo Leopardi
pagine 1913