Questi sentimenti si provano negli accessi di disperazione, nel gustare il passeggero conforto del pianto, (dove l'uomo si piglia piacere a immaginarsi più infelice che può), talvolta anche nel primo punto e sentimento o novella ec. del suo male ec.
[2219]L'uomo in tali pensieri ammira, anzi stupisce di se stesso, riguardandosi (o proccurando di riguardarsi, con fare anche forza alla sua ragione, e imponendole espressamente silenzio (nella sua) coll'immaginazione) come per assolutamente straordinario, straordinario o come costante in sì gran calamità, o semplicemente come capace di tanta sventura, di tanto dolore, e tanto straordinariamente oppresso dal destino; o come abbastanza forte da potere pur vedere chiaramente pienamente vivamente e sentire profondamente tutta quanta la sua disgrazia.
E questo è ciò che ci proccura il detto piacere, il quale non è in somma che una pura straordinaria soddisfazione dell'amor proprio. E questa soddisfazione dove la prova egli l'amor proprio? nell'estrema e piena disperazione. E donde gli viene, in che si fonda, che soggetto ha? l'eccesso, l'irremediabilità del proprio male.
La disperazione è molto ma molto più piacevole della noia. La natura ha [2220]provveduto, ha medicato tutti i nostri mali possibili, anche i più crudeli ed estremi, anche la morte (di cui v. i miei pensieri relativi), a tutti ha misto del bene, anzi ne l'ha fatto risultare, l'ha congiunto all'essenza loro; a tutti i mali, dico, fuorchè alla noia. Perchè questa è la passione la più contraria e lontana alla natura, quella a cui non aveva non solo destinato l'uomo, ma neppur sospettato nè preveduto che vi potesse cadere, e destinatolo e incamminatolo dirittamente a tutt'altro possibile che a questa.
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