A tempo d'Aristotele non v'erano grandi poeti greci: l'eloquenza romana era già spirata a tempo di Quintiliano (il quale forse, in quanto al modo di fare, se n'intendeva più di Cicerone). Lo stesso saper quel che va fatto è cagione che questo non si sappia fare. Anche qui si verifica che il troppo è padre del nulla, e che il voler fare è causa di non potere, ec. ec. Gli scrupoli, i dubbi, i timori di cader ne' difetti già ben conosciuti ec. ec. legano le mani allo scrittore, e i più se ne disperano, e non seguendo nè i precetti dell'arte, nè essendo più a tempo di seguir la natura propria già in mille modi distorta, stravolta, e alterata dall'arte, scrivono, come vediamo, pessimamente, benchè sappiano ottimamente quel che s'abbia da fare a scriver bene.
(15. Giugno. 1822.)
[2479]Quanto prevaglia nell'uomo la materia allo spirito, si può considerare anche dalla comparazione dei dolori. Perocchè i dolori dell'animo non sono mai paragonabili ai dolori del corpo, ragguagliati secondo la stessa proporzione di veemenza relativa. E sebben paia molte volte a chi è travagliato da grave pena dell'animo, che sarebbe più tollerabile altrettanta pena nel corpo; l'esperienza ragguagliata dell'una e dell'altra può convincere facilmente chiunque sa riflettere che tra' dolori dell'animo e quelli del corpo, supponendoli ancora, relativamente, in un medesimo grado, non v'è alcuna proporzione. E quelli possono esser superati dalla grandezza o forza dell'animo, dalla sapienza ec. (lasciando stare che il tempo consola ogni cosa), ma questi hanno forza d'abbattere e di vincere ogni maggior costanza.
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Aristotele Quintiliano Cicerone
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