E infatti lo è, anzi non v'è passione che non sia amor proprio, e tutte sono un effetto suo [2491]non distinto dalla causa, e non esistente fuor di lei, la quale opera ora così, e si chiama superbia, ora così, e si chiama ira, ed è sempre una passione sola, primitiva, essenziale. Dimodo che le passioni sono piuttosto azioni ch'effetti dell'amor proprio, cioè non sono figlie sue in maniera che ne ricevano un'esistenza propria, e separata o separabile da lui.
Or p.e. l'ira o l'impazienza del proprio male, non è ella modificabilissima e diversissima, non solo in diverse specie, o individui, ma in un medesimo individuo, secondo le circostanze? Ponetelo nelle sventure ed assuefatecelo. Sia pure impazientissimo per natura; col tempo e coll'assuefazione, diviene pazientissimo. (Testimonio io per ogni parte di questa proposizione). Fate che questo medesimo non abbia mai provato sventure, o assuefatelo di nuovo alla prosperità, o supponete in una di queste due circostanze un altro individuo, e sia egli di natura mansuetissima. Ogni menomo male lo pone in impazienza. Or qual effetto più sostanziale dell'amor proprio, che l'impazienza del male di questo sè che si ama? E pur questa [2492]impazienza è maggiore e minore secondo le nature, le specie, gl'individui, e le circostanze e le assuefazioni di un medesimo individuo. Così dunque l'amor proprio del qual essa è opera.
(22. Giugno. 1822.)
Intorno al suicidio. È cosa assurda che secondo i filosofi e secondo i teologi, si possa e si debba viver contro natura (anzi non sia lecito viver secondo natura) e non si possa morir contro natura.
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Testimonio
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