). V. p.2525. Ma anche nel cinquecento non si stimava veramente elegante se non il pellegrino, e lo trovavano e cercavano nella lingua del trecento, che sola chiamavano pura, quando per noi è purissima quella del cinquecento. V. Salviati, Avvertim. della lingua, citati nelle op. del Casa, Venez. 1752. t.3. p.323. fine - 324. Nel trecento poi nemmen si parlava di purità, nè si poneva tra i pregi della lingua o dello scrivere; e la lingua del loro secolo non si stimava elegante (se non forse alcune smancerie fiorentine, di cui parla il Passavanti, e queste credo piuttosto che s'amassero nel resto di Toscana o d'Italia, che in Firenze, come accade veramente anche oggi): e quelli scrittori che più si stimavano eleganti, e che tali si credevano o pretendevano essi medesimi, erano non quelli che oggi più s'ammirano per la naturalezza e la semplicità, e che [2517]in somma usavano più puramente la lingua nazionale o patria del tempo loro, ma quelli che oggi meno s'apprezzano, cioè che la fornivano di parole e modi forestieri, e che si studiavano di tirarla alle forme d'altre lingue, e d'altri stili, come fece il Boccaccio rispetto al latino, e come anche Dante, la cui lingua, s'è pura per noi, che misuriamo la purità coll'autorità, niuno certamente avrebbe chiamato pura a quei tempi, s'avessero pensato allora alla purità, e gli stessi cinquecentisti non erano molto inchinati a stimarlo tale, nè ad accordargli un'assoluta autorità e voto decisivo in fatto di purità di lingua, restringendosi piuttosto al Petrarca e al Boccaccio.
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