). Ora io torno a dimandare qual cosa sia migliore, se il patire o il non patire. Certo il godere, fors'anche il godere e patire sarebbe meglio del semplice non patire, (giacchè la natura e l'amor proprio ci spinge e trasporta tanto verso il godere, che c'è più grato il godere e patire, del non essere e non patire, e non essendo non poter godere) ma il godere essendo impossibile all'uomo, resta escluso necessariamente e per natura [2551]da tutta la quistione. E si conchiude ch'essendo all'uomo più giovevole il non patire che il patire, e non potendo vivere senza patire, è matematicamente vero e certo che l'assoluto non essere giova e conviene all'uomo più dell'essere. E che l'essere nuoce precisamente all'uomo. E però chiunque vive (tolta la religione), vive per puro e formale error di calcolo: intendo il calcolo delle utilità. Errore moltiplicato tante volte quanti sono gl'istanti della nostra vita, in ciascuno de' quali noi preferiamo il vivere al non vivere. E lo preferiamo col fatto non meno che coll'intenzione, col desiderio, e col discorso più o meno espresso, più o meno tacito ed implicito della nostra mente. Effetto dell'amor proprio ingannato come in tante altre cattive elezioni ch'egli fa considerandole sotto l'aspetto di bene, e del massimo bene che gli convenga in quelle tali circostanze.
[2552]Che poi l'uomo debba esser certo di non passar giorno senza patimento, il che potrebbe parere una parte non abbastanza provata in questo mio ragionamento, lasciando stare i mali e dolori accidentali che intervengono inevitabilmente a tutti gli uomini, si dimostra anche dalla medesima proposizione la quale afferma che l'uomo dev'esser certo di non provar piacere alcuno in sua vita.
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