(21. Luglio 1822.)
Non c'è virtù in un popolo senz'amor patrio, come ho dimostrato altrove. Vogliono che basti la Religione. I tempi barbari, bassi ec. erano religiosi fino alla superstizione, e la virtù dov'era? Se per religione intendono la pratica della medesima, vengono a dire che non c'è virtù senza virtù. Chi è religioso in pratica, è virtuoso. Se intendono la teorica, e la speranza e il timore delle cose di là, l'esperienza di tutti i tempi dimostra che questa non basta a fare un popolo attualmente e praticamente virtuoso. L'uomo, e specialmente [2575]la moltitudine non è fisicamente capace di uno stato continuo di riflessione. Or quello ch'è lontano, quello che non si vede, quello che dee venir dopo la morte, dalla quale ciascuno naturalmente si figura d'esser lontanissimo, non può fortemente costantemente ed efficacemente influire sulle azioni e sulla vita, se non di chi tutto giorno riflettesse. Appena l'uomo entra nel mondo, anzi appena egli esce dal suo interno (nel quale il più degli uomini non entra mai, e ciò per natura propria) le cose che influiscono su di lui, sono le presenti, le sensibili, o quelle le cui immagini sono suscitate e fomentate dalle cose in qualunque modo sensibili: non già le cose, che oltre all'esser lontane, appartengono ad uno stato di natura diversa dalla nostra presente, cioè al nostro stato dopo la morte, e quindi, vivendo noi necessariamente fra [2576]la materia, e fra questa presente natura, appena le sappiamo considerare come esistenti, giacchè non hanno che far punto con niente di quello la cui esistenza sperimentiamo, e trattiamo, e sentiamo ec.
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Religione
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