(30. Sett. 1822.). Vedi la p. seg. pensiero primo.
Da quello che altrove ho detto e provato, che il piacere non è mai presente, ma sempre solamente futuro, segue che propriamente parlando, il piacere è un ente (o una qualità) di ragione, e immaginario.
(2. Ott. 1822.)
A ciò che ho detto altrove delle voci ermo, eremo, romito, hermite, hermitage, hermita ec. tutte fatte dal greco ??????, aggiungi lo spagnuolo ermo, ed ermar (con ermador ec.) che significa desolare, vastare, appunto come il greco ??????. (3. Ottobre. 1822.). Queste voci e simili sono tutte poetiche per l'infinità o vastità dell'idea ec. ec. Così la deserta notte, e tali immagini di solitudine, silenzio ec.
Le sensazioni o fisiche o massimamente morali che l'uomo può provare, sono, niuna di vero piacere, ma indifferenti o dolorose. Quanto alle indifferenti la sensibilità non giova nulla. Restano solo le dolorose. Quindi la sensibilità, benchè [2630]assolutamente considerata sia disposta indifferentemente a sentire ogni sorta di sensazioni, in sostanza però non viene a esser altro che una maggior capacità di dolore. Quindi è che necessariamente l'uomo sensibile, sentendo più vivamente degli altri, e quel che l'uomo può vivamente sentire in sua vita non essendo altro che dolore, dev'esser più infelice degli altri. Egli più capace d'infelicità, e questa capacità non può mancar d'esser empiuta nell'uomo.
(5. Ottobre 1822.)
Ho detto altrove che il timore è la più egoistica delle passioni. Quindi ciò ch'è stato osservato, che in tempo di pesti, o di pubblici infortuni, dove ciascun teme per se medesimo, i pericoli e le morti de' nostri più cari, non ci producono alcuno o quasi alcun sentimento.
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