Aggiungo ora che in fatti la poesia, appresso quelle nazioni ch'hanno lingua propriamente poetica, cioè distinta dalla prosaica (e ciò fu tra le antiche la greca, e sono tra le moderne l'italiana e la tedesca, e un poco fors'anche la spagnuola) è conservatrice [2641]dell'antichità della lingua, e quindi della sua purità, le quali due qualità sono quasi il medesimo, se non che la prima di queste due voci dice qualcosa di più. Dell'antichità, dico, è conservatrice la lingua poetica, sì ne' vocaboli, sì nelle frasi, sì nelle forme, sì eziandio nelle inflessioni, o coniugazioni de' verbi, e in altre particolarità grammaticali. Nelle quali tutte essa conserva (o segue di tratto in tratto a suo arbitrio) l'antico uso, stato comune ai primi prosatori, e quindi sbandito dalle prose. Ed ha notato il Perticari nel Trattato degli Scrittori del Trecento che in tanta corruzione ultimamente accaduta della nostra lingua parlata e scritta, lo scriver poetico s'era pur conservato e si conserva puro; il che fino a un certo segno, e massime ne' versificatori [2642]che non hanno molto preteso all'originalità (come gli arcadici, i frugoniani ec. a differenza de' Cesarottiani ec.) si trova esser verissimo. Così fu nella lingua greca, che la poesia fu gran conservatrice delle parole, modi, frasi, inflessioni, e regole e pratiche grammaticali antiche. Ond'ella ha una lingua tutta diversa dalla sua contemporanea prosaica. E ciò accade (parlo del conservar l'antichità e purità della lingua), accade, dico, proporzionatamente anche nelle poesie che non hanno lingua appartata, come la francese, e forse l'inglese.
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