1. p.43-4. Ma avendo io già più volte pensato meco, onde nasca questa grazia, lasciando quegli che dalle stelle l'hanno, trovo una regola universalissima; la qual mi par valer circa questo in tutte le cose umane, che si facciano, o dicano, più che alcuna altra; e ciò è fuggir quanto più si può, e come un asperissimo e pericoloso scoglio la affettazione; e, per dir forse una nuova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l'arte, e dimostri, ciò che si fa, e dice, venir fatto senza fatica, e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia: perchè delle cose rare, e ben fatte ognun sa (p.44. dell'ediz.) la DIFFICULTÀ, onde in esse la FACILITÀ genera grandissima maraviglia; e per lo contrario, lo sforzare, e, come si dice, tirar per i capegli, dà somma disgrazia, e fa estimar poco ogni cosa, per grande ch'ella si sia.
(Roma 14. Marzo. 1823. secondo Venerdì di Marzo.)
In vero rare volte interviene che chi non è assueto [2683]a scrivere, per erudito che egli si sia, possa mai conoscer perfettamente le fatiche ed industrie degli scrittori, nè gustar la dolcezza ed eccellenza degli stili, e quelle intrinseche avvertenze che spesso si trovano negli antichi. Il medesimo, ivi, p.79. Da quanto pochi adunque può sperar degna, vera ed intima e piena e perfetta stima e lode il perfetto scrittore o poeta! e per quanto pochi scrive e prepara piaceri colui che scrive perfettamente! V. p.2796.
(15. Marzo. 1823.)
Nè altro vuol dir il parlar antico, che la consuetudine antica di parlare; e sciocca cosa sarebbe amar il parlar antico, non per altro che per voler più presto parlare come si parlava, che come si parla.
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Roma Venerdì Marzo
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