Ma certo chi non conoscesse altra lingua greca che la consueta di Platone, non senza una certa difficoltà potrebbe intendere quelle tre orazioni.
(23. Maggio. 1823.)
Alla p.2699. Di quelli scrittori del 300 che usarono lingua più illustre e comune, o manco plebea e provinciale o municipale, vedi Perticari [2719]Degli Scritt. del 300. l.2. c.6. È da notare che molte differenze che s'incontrano in questi scrittori fra la loro lingua e la presente, non sono da attribuire alla lingua di quel secolo. Ma elle sono tutte proprie degli scrittori medesimi. I quali in quei primi cominciamenti della nostra lingua illustre, in quella scarsezza di esempi, e quindi di regole della lingua volgare scritta, seguirono quali una strada e quali un'altra, sì nel trovare o crear le voci ai dati oggetti, sì nel collegarle, come quelli ch'erano i primi; e spesso per mancanza d'arte, per cattivo gusto, per povertà di voci o di modi propria loro o della lingua, per vaghezza di novità, o per sola ignoranza, e poca conoscenza della loro stessa lingua scritta o parlata, e per non sapere scrivere, divisero le loro scritture dalla lingua parlata molto più che non si doveva, o in quelle cose e in quelle guise che non si doveva; non volendo esser plebei, furono qua e là mostri di locuzione; non sapendo esprimersi, inventarono parole e forme tutte loro, tutte barbare; introdussero nelle scritture molti vocaboli e modi latini o provenzali durissimi e [2720]ripugnanti all'indole della favella comune o particolare, illustre o plebea, di quel medesimo secolo.
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Platone Perticari Degli Scritt
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