Della qual favella pertanto in queste cose non si puņ nč si dee fare argomento da quelle scritture. Perchč quelle mostruositą e stranezze, che noi crediamo e chiamiamo comunemente arcaismi, come non si parlano ora nč si scrivono, cosģ non furono mai parlate nč pure in quel secolo, nč scritte se non da uno o da pochi; e quindi non sono proprie della lingua del 300 ma di quei particolari scrittori. E neanche nei secoli seguenti al suddetto, fino a noi, non furono mai parlate da alcuno in Italia, nč scritte se non da qualche pedantesco imitatore, e razzolatore degli antichi, de' quali pedanti ve n'ha gran copia anche oggidģ. Ma l'autoritą di questi non fa la lingua nč presente nč passata. Vedi anche circa queste mostruositą arbitrarie e particolari di tale o tale [2721]trecentista, il Perticari loc. cit. p.13-5. e massime p.136. fine.
(23. Maggio 1823.)
Anche il Gelli confessava (ap. Perticari Degli Scritt. del Trecento l.2. c.13. p.183.) che la lingua toscana non era stata applicata alle scienze.
(24. Maggio 1823.)
Della impossibilitą o dannositą di sostituire ai termini delle scienze o delle arti 1. le circollocuzioni, 2. i termini generali, 3. i metaforici e catacretici o in qualunque modo figurati, vedi Perticari loc. cit. p.184-5.
(24. Maggio 1823.)
Aristotele diceva pił essere le cose che le parole: e il Perticari loc. cit. p.187-8. spiega ed applica questa sentenza alla necessitą di far sempre nuovi vocaboli per le nuove cognizioni e idee.
(24. Maggio 1823.)
Della necessitą di far nuove voci alle nuove cose, o alle cose non mai trattate da' nazionali, e che ciascuna scienza o arte abbia i suoi termini propri e divisi da quelli delle altre scienze e del dir comune, vedi Cicerone de finibus l.3. c.1-2. (24. Maggio 1823.).
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