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      Di più, il poeta sembrerebbe affettato. Vedi in questo proposito la p.3015. Questo medesimo vale anche per le parole della stessa lingua, rimote più che tanto dall'uso comune, sia per disuso (seppur lo scrittore stesso o il poeta avesse modo di conoscerle, mancando fin allora gli scrittori), sia per qualsivoglia altra cagione. Bisogna considerare che la nazione in quel tempo è ignorante, e non istudia, e non leggerebbe quella scrittura o quel poema, benchè scritto in volgare, le cui parole o modi non fossero alla sua portata, o egli non potesse capirli senza studiarvi sopra. E poca difficoltà, poca ricercatezza di parole o di forme basta ad eccedere la capacità de' totalmente ignoranti, quali sono allora quasi tutti, e degli a tutt'altro avvezzi che allo studio. Ho dunque detto altrove che i poeti e scrittori primitivi tutti o quasi tutti, e sempre o per lo più, sì nella lingua sì nello stile, tirano al familiare. E questo viene, sì per adattarsi alla capacità della nazione, sì perchè, mancando loro, come s'è detto, la principal materia dell'eleganza [2838]di lingua, sono costretti a pigliare una lingua domestica e rimessa, e non volendo che questa ripugni e disconvenga allo stile, sono altresì costretti di tenere anche questo, per così dire, a mezz'aria, e di familiarizzarlo. Onde accade che questi tali poeti e scrittori sappiano di familiare anche ai posteri, quando le loro parole e forme, già divenute abbastanza lontane dall'uso comune, hanno pure acquistato quel che bisogna ad essere elegantissime, perlochè già elle come tali s'adoprano dagli scrittori e poeti della nazione, ne' più alti stili.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555