Vedi in questo proposito una bella riflessione di Perticari, Apologia, Capo 14. fine p.131-2. Certo questa diversità d'inflessione per la più parte non è se [3011]non quello ch'io dico: così ne' poeti greci, così ne' latini (più schivi però dell'antico, e quindi il loro linguaggio poetico è assai meno distinto dalla lor prosa quanto a' vocaboli, che il greco), così negl'italiani. Perocchè non è da credere che la inflession d'una voce sia stimata, e quindi veramente sia, più elegante o per la prosa o pel verso, perchè e quanto ella è più conforme all'etimologia, ma solamente perchè e quanto ella è meno trita dall'uso familiare, essendo però bene intesa e non riuscendo ricercata. (Anzi bene spesso è trivialissima l'inflessione regolare ed etimologica, ed elegantissima e tutta poetica la medesima voce storpiata, come dichiaro in altro luogo). E questo non esser trita, nè anche ricercata, ma pur bene intesa, come può accadere a una voce, o ad una cotale inflessione della medesima? Il pigliarla da un particolar dialetto o l'infletterla secondo questo fa ch'ella non riesca trita all'universale, ma difficilmente può far ch'ella e non paia ricercata e sia bene intesa da tutti. Oltre ch'ella riesce anche trita a quella parte della nazione di cui quel dialetto è proprio. In verità i dialetti particolari sono scarso sussidio e fonte al linguaggio poetico, e all'eleganza qualunque. Lo vediamo noi italiani in Dante, dove le [3012]voci e inflessioni veramente proprie di dialetti particolari d'Italia fanno molto mala riuscita, nè la poesia nostra, nè verun savio tra' nostri o poeti o prosatori ha mai voluto imitar Dante nell'uso de' dialetti, non solo generalmente, ma neppure in ordine a quelle medesime voci e pronunzie o inflessioni da lui adoperate.
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