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      Chi cede nella guerra, cede all'uomo, cosa che oggidì potrà essere scusata ma di rado lodata; fra gli antichissimi non che lodata, era pur di rado scusata, e generalmente spregiata com'effetto o di viltà o di debolezza, la quale, sebbene involontaria, era poco meno spregiata della viltà, come lo sono anche oggidì proporzionatamente e la debolezza e tanti altri difetti degl'individui o delle nazioni, esteriori o interiori, che non dipendono dalla volontà di chi n'è il soggetto. Dico che la guerra è [3103]dell'uomo coll'uomo, sebbene Omero c'intramette anche gli Dei. Ma questa finzione era per abbellire e non per alterare la natura della guerra eccetto in alcune parti poco essenziali. Come quando s'introduce Achille alle prese col Csanto. Nel qual caso, non essendo la battaglia d'uomo con uomo, ma colla superior potenza di un Dio, Omero non si fa scrupolo d'introdurre Achille chiedente aiuto e fuggente, nè stima che questo tolga alla sua superiorità, perch'ei lo vuol far superiore agli uomini non agli Dei, e vittorioso nella guerra de' mortali, non degli Eterni. E infatti l'intervento degli Dei, come non doveva (volendo conservare il buono effetto) alterare, così effettivamente non altera appresso Omero la sostanza della guerra umana.
      Conveniva dunque che l'Eroe e la nazione presa da Omero a celebrare fossero fortunati e vittoriosi, massimamente aggiungendosi alle [3104]predette considerazioni generali questa particolarità che l'Eroe da Omero celebrato era greco, e la nazione era la greca, cioè quella alla quale egli cantava e a cui egli apparteneva, e la guerra era stata contro i Barbari.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555

   





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