5. Finalmente l'interesse che può produrre in un poema epico un Eroe ed un'impresa nazionale felice, nè può, come è chiaro, riuscire universale, nè anche può essere perpetuo, come più sotto si mostrerà cogli esempi. Unico interesse che possa in un'epopea riuscire universale e per luogo e per tempo, cioè comune a tutte le nazioni e a tutti i secoli, si è quello che nasce dalla sventura, e più dalla virtù sventurata, dalla beltà, dalla giovanezza e anche dal valor militare personale sventurato. E questo altresì può solo esser vivissimo, e durare in chi legge per tutto il corso della lettura, e perseverare nel suo animo lungo tempo di poi, come pungolo lasciato nella piaga.
Ma l'unico modo che v'aveva d'introdurre questo interesse nel poema epico, quello, dico, usato da Omero nell'Iliade, cioè di duplicare onninamente l'Eroe, l'interesse e lo scopo poetico di tutta l'epopea, non solamente [3138]dagli Epici posteriori ad Omero non fu voluto abbracciare, ma fu sopra tutte l'altre cose fuggito, come quello che dirittamente avrebbe esclusa quella unità d'interesse, di scopo e d'Eroe, che quei poeti e i Dottori de' loro tempi e de' nostri, davano per primaria e supremamente indispensabile qualità del poema epico: la unità, dico, non quale è quella della Iliade, dalla quale pur furono tratte le regole, le norme e il tipo dell'epopea, ma quale i posteriori ingegni metafisicamente sottilizzando, e troppo artisticamente e strettamente considerando, la concepirono, determinarono e prescrissero.
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