Quindi nella presa di Gerusalemme niuno sente per niun modo la sventura e il disastro di quella città infedele, nè [3142]la presa è descritta o narrata con intenzione di muovere a compatimento, nè in maniera da poterne mai cagionare nè meno a caso. Altrettanto dicasi delle sconfitte degli eserciti maomettani o pagani. E similmente si discorra dell'altre moderne epopee.
Non è già che Virgilio e gli altri volessero e intendessero spogliare affatto d'ogni valore, d'ogni virtù, d'ogni pregio la parte contraria alla vincitrice. Anzi intendendosi a' tempi loro meglio che a' tempi d'Omero, che tanto più si loda colui che vince non per caso ma per virtù, quanto s'amplifica quella del vinto, non lasciarono di volere espressamente rappresentare virtuosi in molte parti e degni di stima e lodevoli anche i nemici, sì tutti insieme, come parecchi distinti personaggi del loro numero. Ma ciò facendo, intentissimamente evitarono che l'interesse pe' nemici o per alcuno de' medesimi non giungesse di gran lunga a pareggiare quello che volevano ispirare ai lettori verso la parte e l'Eroe vittoriosi. Nel che riuscirono ottimamente, anzi al di là della loro intenzione, perchè laddove essi vollero pur [3143]comunicare alcun poco d'interesse a questo o quel personaggio nemico o alla parte inimica, niuno gliene comunicarono.
Queste sono le forme di poema epico, e queste le regole e il processo seguiti e adoperati dall'una parte da Omero, dall'altra parte dai poeti epici che, per dir così, da lui nacquero.
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