Nč poteva essere spenta la memoria e il terrore di quando, non pių che un secolo addietro, quella nazione tartara, dopo le tante imprese e conquiste e progressi fatti per sė lungo tempo nell'Asia, presa Costantinopoli, antichissima sede del greco impero, e distrutto l'ultimo avanzo della potenza romana, aveva finalmente piantato nell'Europa risorgente alla civiltā, un trono barbaro, una lingua e un popolo Asiatico (cosa fino allora, per quanto si stende la ricordanza delle storie, non pių veduta), oltre una religione diversa dalla Cristiana (cosa pur non veduta in Europa da' tempi pagani in poi, eccetto i mori di Spagna, i quali si debbono eccettuare anche sotto i rispetti detti di sopra); ed aveva imposto il giogo della schiavitų orientale alla pių colta nazione che fosse in quei tempi, come apparve dai tanti esuli, secondo quel tempo, dottissimi, che fuggendo la turca tirannide, si erano sparsi per le altre parti d'Europa, portando i greci codici, e la greca letteratura, e rendendo comune e proprio di quel secolo pių che d'ogni altro, lo studio ed anche l'uso della greca lingua nelle scuole e fra' letterati d'Italia, di Francia e di Germania, ed aiutando universalmente il progresso delle rinate lettere. Spettacolo veramente terribile, la cui impressione non poteva nel seguente secolo essere spenta, nč si poteva ancora [3175]aver cessato di temere e di odiare generalmente il Turco sė nelle corti e sė nel popolo, non solo come conquistatore, ma di pių come conquistatore barbaro e crudele, minacciante le nazioni civili; (quasi come i Goti e gli altri popoli settentrionali ne' bassi secoli), anche astraendo affatto dalla religione.
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