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      Trovando interrotta in Italia la letteratura, essi hanno trovato interrotta la lingua illustre; antica quella, antica ancor questa. Una lingua antica non può esser buona a dir cose moderne, e dirle, come devesi, alla moderna: nè la nostra lingua in particolare era buona ad esprimere le nuove cognizioni, a somministrare il bisognevole a tanta e sì vasta novità. Introducendosi fra noi appoco appoco la notizia delle letterature e discipline straniere, que' pochi italiani ch'eccitati da queste nuove cognizioni si trovarono un capitale di mente da poter loro aggiungere qualche cosa di loro; quei molti più che invaghiti della novità, o mossi da qualunque altro motivo, deliberarono, [3323]senza però aver nulla di proprio da scrivere, d'introdurre o divulgare, come si doveva, in Italia i nuovi generi, le nuove letterature e discipline, la nuova filosofia, anzi per meglio dire, la filosofia, non bastando a ciò la lingua italiana antica, intieramente la dismessero, e come di facoltà e di pensieri, così di lingua andarono a scuola dagli stranieri; e da cui toglievano le cose, sia per solamente ripeterle, sia pur talora per accrescerle e in qualche parte migliorarle, da essi tolsero anche le voci e le maniere e le forme del favellare e scrivere. Gli scienziati propriamente detti, rispetto ai quali la nostra nazione non fu quasi per alcun tempo seconda a verun'altra, sempre però poco curanti della lingua, seguirono la barbarie venuta in uso, come il linguaggio ch'era loro alla mano, e come indifferentemente avrebbero seguito qualunque altro linguaggio o puro o impuro che avessero avuto in pronto e che fosse stato comune, il che sempre avevano fatto qui ed altrove.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555

   





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