E non altrimenti che inutili al sopraddetto scopo sieno oggidì coloro che tra noi pur pensano qualche cosa (ben pochi e poco), o che da' paesi di fuori recano a noi qualche pensiero ec. i quali tutti non iscrivono italiano ma barbaro. E questa separazione e distinzione di gente che scrive in italiano (vero o preteso), e gente che pensa, stimo per le suddette ragioni, che sempre sia per durare in Italia; mentre questi non prevagliano a quelli, formando finalmente appoco appoco un nuovo italiano illustre e rendendolo universale tra noi in vece dell'antico. Dal che siamo ancora ben lontani, massime oggidì, che il numero e il valore di quelle ombre di filosofi che ha veduto fin qui l'Italia, va pur sempre notabilissimamente scemando; e sempre per lo contrario crescendo, non il valore, ma il numero di quelli che pretendono e aspirano a scrivere il buon italiano; onde l'Italia è quasi tutta rivolta di nuovo alla sua antica lingua, e di pensieri oramai nulla più pensa nè [3336]cura nè richiede; propriamente nulla.
Mala cosa per certo si è l'interruzione degli studi,
dovunque ella accada, sì per mille altri danni, sì perchè
colla letteratura ella antiqua la lingua illustre.88 Di modo che risorgendo essa letteratura, l'è grandissimo impedimento e indugio a poter crescere e formarsi la mancanza di lingua a lei conveniente, e il tempo e l'industria che bisogna spendere in fornirnela. Quanto crediamo noi che ritardasse gli avanzamenti dello spirito umano (non in una sola nazione ma in tutta l'Europa) dopo il risorgimento degli studi, la mancanza di lingue proprie alle nuove lettere?
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