(11. Settembre. 1823.). V. p.3517.
[3413]Alla p.2841. Sperone Speroni nell'Orazione in morte del Cardinal Bembo, quinta delle Orazioni sue stampate in Ven. 1596. pag.144-5. poco innanzi il mezzo dell'orazione suddetta. I medesimi verbi colla stessa construtione (p.145.) usa il volgar poeta, (il poeta italiano) che suole usar l'oratore; onde non pur è lunge da quell'errore, ove spesse fiate veggiamo incorrere i Greci, et qualche volta i Latini, cioè a dire, che egli si paia di favellare in un'altra lingua, che non è quella dell'oratore; anzi i più lodati Toscani all'hora sperano di parlar bene nelle lor prose, et par quasi, che sene vantino, quando al modo, che da' Poeti è tenuto hanno affettato di ragionare. Et chi questo non crede, vada egli a leggere il Decameron del Boccaccio, terzo lume di questa lingua, et troveravvi per entro cento versi di Dante così intieri, come li fece la sua comedia.110 Non parrebbe da queste parole che l'Italia non avesse lingua propriamente [3414]poetica, o certo ben poco distinta dalla prosaica? E non è d'altronde manifesto ch'ella ha una lingua poetica più distinta dalla prosaica che non è quella di forse niun'altra lingua vivente, e certo più che non è quella de' Latini, in quanto si vede che noi, imparato che abbiamo ad intendere la prosa latina, intendiamo con poco più studio la poesia, (lo studio che ci vuole, e il divario tra il linguaggio della poesia latina e della prosa, consiste principalmente nella diversità di molta parte delle trasposizioni, ossia nell'ordine e costruzione delle parole, ch'in parte è diversa) ma uno straniero non perciò ch'egli ottimamente intendesse la nostra moderna lingua prosaica, intenderebbe senza molto apposito studio la poetica?
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