In Senofonte, particolare odiator de' sofisti, tanto perseguitati dal suo maestro, (v. la fine del Cinegetico) e a lui per se stesso abbominevoli; in Senofonte cosė candido e semplice e naturale che par tutto l'opposto possibile del sofistico, in Senofonte il sofistico de' concetti dā subito nell'occhio, tanto ch'io lo sentii notare con maraviglia a persona niente intendente nč di greco nč di letteratura antica, che avea non pių che gittato l'occhio su certa traduzione di quell'autore. E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri e de' fuchi e d'ogni ornamento ascitizio e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista [3475]niente meno di quelli da lui derisi? E per quanto poco gli antichi generalmente pensassero, non č possibile a credere che i pensieri e le osservazioni di Socrate, di Senofonte, di Isocrate, di Plutarco (tanto pių recente) e simili, non fossero al tempo di costoro medesimi, comuni e triviali e volgari (sieno politici, filosofici, morali o qualunque) o eccedessero la comune capacitā di pensare, di trovare, di concepire, di osservare. Ma pochi sapevano esprimerli a quel modo, come ho detto di sopra.
Č cosa osservata che le antiche opere classiche, non solo perdono moltissimo, tradotte che sieno, ma non vaglion nulla, non paiono avere sostanza alcuna, non vi si trova pregio che l'abbia potute fare pur mediocremente stimabili, restano come stoppa e cenere. Il che non solo non accade alle opere classiche moderne, ma molte di esse nulla perdono per la traduzione, e in qualunque lingua si voglia, sono sempre le medesime, e tanto vagliono quanto nella originale.
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