I pensieri di Cicerone non sono certo cosė comuni, come quelli de' sopraddetti ec., nč furono de' pių [3476]comuni al suo tempo, massime tra' romani. Nondimanco io peno a credere ch'altri possa tollerar di leggere sino al fine (o far ciō senza noia) qualunque č pių concettosa opera di Cicerone, tradotta in qual si sia lingua. Che vuol dir ciō, che vuol dir questa differenza di condizione tra l'antiche e le moderne opere, tradotte ch'elle sieno, se non che negli antichi, anche sommi, scrittori, o tutto o il pių son parole e stile, tolte o cangiate le quali cose, non resta quasi nulla, e le loro sentenze scompagnate dal loro modo di significarle paiono le pių ordinarie, le pių trite, le pių popolari cose del mondo. Veramente i pensieri degli antichi, pių o meno, son persone del volgo: detratta la veste, se le loro forme non appaiono rozze, certo paiono ordinarie, e di quelle che per tutto occorrono, senza nulla di peregrino, nulla che inviti l'occhio a contemplarle, anzi neppure a guardarle, nulla insomma nč di singolare nč di pregevole. Nelle opere moderne all'opposto tutto č pensieri e persona; stile nulla; vesti cosė dozzinali che pių non potrebbero essere. E perciō appunto č necessario che le opere classiche antiche tradotte perdano tutto o quasi tutto il loro pregio cioč quello dello stile, perchč i moderni non hanno di gran lunga l'arte dello stile che gli antichi ebbero nč possono nelle loro tradizioni conservare ad esse opere il detto pregio ec. Ma non conservando lor questo, niuno altro gliene posson lasciare che vaglia la pena della lettura, e che distingua gran fatto esse opere dalle pių volgari e mediocri, massime le morali, filosofiche ec.
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Cicerone Cicerone
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