(V. Forcell. in Heros, Indigetes, Semideus; e Platone nel Convito ed. Astii t.3. 498. D- 500. E, che fa ottimamente al caso).127 Gli antichi non trovarono maggior difficoltà a comporre in un suggetto medesimo l'umanità e la divinità, di quel che a comporre i due sessi umani, il maschio e la femmina, negl'immaginari ermafroditi; quasi l'umano e il divino fossero, non altrimenti che il virile e il donnesco, due diverse specie, per dir così, d'un genere istesso, nè maggior differenza, o intervallo, [3497]o distinzion di natura fosse tra loro.
(22. Sett. 1823.)
Le speranze che dà all'uomo il Cristianesimo sono pur troppo poco atte a consolare l'infelice e il travagliato in questo mondo, a dar riposo all'animo di chi si trova impediti quaggiù i suoi desiderii, ributtato dal mondo, perseguitato o disprezzato dagli uomini, chiuso l'adito ai piaceri, alle comodità, alle utilità, agli onori temporali, inimicato dalla fortuna. La promessa e l'aspettativa di una felicità grandissima e somma ed intiera bensì, ma 1°. che l'uomo non può comprendere nè immaginare nè pur concepire o congetturare in niun modo di che natura sia, nemmen per approssimazione, 2°. ch'egli sa bene di non poter mai nè concepire nè immaginare nè averne veruna idea finchè gli durerà questa vita, 3°. ch'egli sa espressamente esser di natura affatto diversa ed aliena da quella che in questo mondo ei desidera, da quella che quaggiù gli è negata, da quella il cui desiderio e la cui privazione forma il soggetto e la causa della sua infelicità; una tal promessa, dico, e una tale [3498]espettativa è ben poco atta a consolare in questa vita l'infelice e lo sfortunato, a placare e sospendere i suoi desiderii, a compensare quaggiù le sue privazioni.
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