Il coraggio veduto o creduto negli altri, o l'opinione che non vi sia pericolo, veduta o creduta in essi, incoraggisce l'individuo che teme. Nello stesso modo il mostrar di non temere a se stesso è un farsi coraggio, o col persuadersi che non vi sia pericolo, o col dare a se stesso in se stesso un esempio di coraggio e di non temere questo pericolo, ancorchè vi sia. Or chi ha bisogno che gli sia fatto coraggio e di aver nello stesso pericolo esempi di coraggio, e altrimenti teme, non [3529]è certamente coraggioso, o in tale occasione non ha coraggio. E chi ha bisogno per non temere, di credere che non vi sia pericolo, cioè ragion di temere, o di sminuirsi l'opinion del pericolo, e di credere che questo pericolo, questa ragione sia piccola, o minore e più leggera ch'ella non è, ed altrimenti teme; non è coraggioso, perchè niun teme quello ch'ei non crede da temersi, e niun teme fuori dell'opinion del pericolo, vera o falsa, o ancor menoma ch'ella sia, o non ragionata, ma quasi istinto e passione (come quella di cui vedi la p.3518-20. e massime 3519. marg.)
Anche il dolore degli uomini si consola o si scema col persuadersi che il danno, la sventura ec. o non sia tale, o sia minore ch'ella non è, o ch'ella non apparisce, o ch'ella non fu stimata a principio; e forse (eccetto quella medicina che reca la lunghezza del tempo) il dolore si consola o mitiga più spesso così che altrimenti. Per questo nelle pubbliche calamità, quando importa che il popolo sia lieto, o non abbattuto, o men tristo che non sarebbe di ragione, si proibiscono e tolgono i segni di lutto, e si ordinano e introducono feste e segni (anche straordinarii) di allegria.
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