Dal che si deduce efficacissimamente che il supporre nella natura l'intenzione di una società stretta in qualsivoglia specie, e massime nell'umana (che da una parte, essendo la prima, doveva esser la più felice e perfetta, dall'altra, in una società stretta, è necessariamente più di tutte sottoposta ai detti inconvenienti) ripugna dirittamente al principio stesso della ragione. La natura non ha posto nel vivente l'odio verso gli altri, ma esso da se medesimo è nato dall'amor proprio per natura di questo. Il quale amor proprio è un bene sommo e necessario, e in ogni modo nasce per se medesimo dall'esistenza sentita, e sarebbe contraddizione un essere che sentisse di essere e non si amasse, come altrove ho dichiarato. Ma da questo principio ch'è un bene e che la natura non poteva a meno di porre nel vivente, e che [3785]anzi, senza l'opera diretta della natura, nasce necessariamente dalla stessa vita (onde la natura medesima, per così dire, lo aveva e lo ha, verso se stessa, indipendentemente dal suo volere)187 ne nasce necessariamente l'odio verso altrui, ch'è un male, perchè dannoso di sua natura alla specie, come ne nascono cento altre conseguenze, che sono mali, e producono di lor natura effetti dannosissimi, non pure alla specie e agli altri individui, ma all'individuo medesimo. Or questi effetti non sono stati voluti dalla natura, nè ella n'ha colpa, (come l'avrebbe), perchè ella ha provveduto che quelle cattive conseguenze dell'amor proprio fossero inefficaci, e tali sarebbero state nell'esser naturale di quel tale individuo e specie.
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