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      Questo veramente non è un ragionare da uomini civili, cioè spiritualizzati, ma appunto da primitivi o selvaggi, cioè materiali, non avendo riguardo che alle [3935]snaturatezze e infelicità materiali e sensibili, e che si riconoscono senza ragionamento, o stimandole sempre assai minori di quelle che il ragionamento dimostra essere molto maggiori, o negando affatto di riconoscere quelle che in verità sono molto maggiori, e negandolo perchè solo il ragionamento può mostrarle per tali e per infelicità e snaturatezze. Gli uomini anche i più civili e filosofi, così facendo (come quasi tutti, anche i sommi, fanno), somministrano nello stesso eccesso della lor civiltà e spiritualizzazione, una forte conferma di questa nostra proposizione che non vi sia cosa più contraria alla natura che la spiritualizzazione dell'uomo e di qualsivoglia cosa, e che tutto insomma per natura è materiale, e che la materia sempre vince, e che quindi essi così civili e spiritualizzati sono corrottissimi, perchè nello stesso loro ragionamento con cui vogliono difendere questo loro stato, e che loro è inspirato da questo, dànno la preferenza alla materia e non vogliono ragionare che materialmente.
      Tout homme qui pense est un animal dépravé. Dunque l'uomo e la società civile lo è più che mai, e tanto più quanto più civile, non essendo quasi altro che spirito, ed éssere pensante, o adunanza di tali esseri.
      Tutto questo discorso conviene colle osservazioni e prove che in mille di questi miei pensieri si sono fatte sopra la snaturatezza e infelicità vera dell'uomo corrispondente in proporzione alla sua maggior civiltà. Del che vedi in particolare il pensiero seguente, e quello a cui esso si riporta, come per natura sua, la civiltà sia supremamente contraria alla natura sì dell'uomo sì universale, e causa d'infelicità somma più che non è lo stato selvaggio, per una conseguenza della teoria e delle leggi universali di tutte le cose, [3936]e dell'esistenza.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555