(28. Nov. 1823.)
Alla p.3927. Non è difficile il concepire le per altro grandissime e moltiplici conseguenze che scaturiscono da' suesposti principii, in ordine al dimostrare che la civiltà la quale per sua natura rende l'uomo, per così dire, tutto spirito (p.3910. segg.), ed accresce per conseguenza infinitamente la vita propriamente detta, e l'amor proprio, accresce anche sommamente per sua natura l'infelicità dell'uomo e della società. E similmente in mille modi trasportando l'azione dalla materia allo spirito, l'attività, l'energia, ec. e, mettendo mille ostacoli all'attuale ed effettiva attività corporale (i governi, i costumi, la mancanza di bisogni, lo scemamento di forze, il gusto dello studio, ec. ec.), e scemando il grado e la forza e la frequenza delle sensazioni, passioni, azioni, e piaceri materiali, e la capacità di essi ec.; riconcentra orribilmente l'amor proprio, lo rivolge tutto sopra se stesso e in se stesso, per conseguenza l'aumenta sopra ogni credere, lo spoglia o impoverisce di distrazione ed occupazione ec. ec. Il selvaggio e per natura del suo corpo e de' suoi costumi e della sua società, essendo men vivo di spirito, cioè propriamente men vivo, è meno infelice del civile, senza paragone alcuno. Così il villano, l'ignorante, l'irriflessivo, l'uom duro, stupido, è o per natura o per abito, inerte di mente, d'immaginazione di cuore ec. ec. a paragone dell'uomo ec. La civiltà aumenta a dismisura nell'uomo la somma della vita (s'intende l'interna) scemando a proporzione l'esistenza (s'intende la vita esterna). La natura non è vita, ma esistenza, e a questa tende, non a quella.
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