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      Riconosciuta la impossibilitā tanto dell'esser felice, quanto del lasciar mai di desiderarlo sopra tutto, anzi unicamente; riconosciuta la necessaria tendenza della vita dell'anima ad un fine impossibile a conseguirsi; riconosciuto che l'infelicitā dei viventi, universale e necessaria, non consiste in altro nč deriva da altro, che da questa tendenza, e dal non potere essa raggiungere il suo scopo; riconosciuto in ultimo che questa infelicitā universale č tanto maggiore in ciascuna specie o individuo animale, quanto la detta tendenza č pių sentita; resta che il sommo possibile della felicitā, ossia il minor grado possibile d'infelicitā, consista nel minor possibile sentimento di detta tendenza. Le specie e gl'individui animali meno sensibili, men vivi per natura loro, hanno il minor grado possibile di tal sentimento. Gli stati di animo meno sviluppato, e quindi di minor vita dell'animo, sono i meno sensibili, e quindi i meno infelici degli stati umani. Tale č quello del primitivo o selvaggio. Ecco perchč io preferisco lo stato selvaggio al civile. Ma incominciato ed arrivato fino a un certo segno lo sviluppo dell'animo, č impossibile il farlo tornare indietro, impossibile, tanto negl'individui che nei popoli, l'impedirne il progresso. Gl'individui e le nazioni d'Europa e di una gran parte del mondo, hanno da tempo incalcolabile l'animo sviluppato. Ridurli allo stato primitivo e selvaggio č impossibile. Intanto dallo [4187]sviluppo e dalla vita del loro animo, segue una maggior sensibilitā, quindi un maggior sentimento della suddetta tendenza, quindi maggiore infelicitā. Resta un solo rimedio: La distrazione.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555

   





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