(Bologna. 26. Sett. 1826.). V. p.4217.
È chiaro e noto che l'idea e la voce spirito non si può in somma e in conclusione definire altrimenti che sostanza che non è materia, giacchè niuna sua qualità positiva possiamo noi nè conoscere, nè nominare, [4207]nè anco pure immaginare. Ora il nome e l'idea di materia, idea e nome anch'essa astratta, cioè ch'esprime collettivamente un'infinità di oggetti, tra se differentissimi in verità (e noi poi non sappiamo se la materia sia omogenea, e quindi una sola sostanza identica, o vero distinta in elementi, e quindi in altrettante sostanze, di natura ed essenza differentissimi, com'ella è distinta in diversissime forme), l'idea dico ed il nome di materia abbraccia tutto quello che cade o può cader sotto i nostri sensi, tutto quello che noi conosciamo, e che noi possiamo conoscere e concepire; ed essa idea ed esso nome non si può veramente definire che in questo modo, o almeno questa è la definizione che più gli conviene, in vece dell'altra dedotta dall'enumerazione di certe sue qualità comuni, come divisibilità, larghezza, lunghezza, profondità e simili. Per tanto il definire lo spirito, sostanza che non è materia, è precisamente lo stesso che definirla sostanza che non è di quelle che noi conosciamo o possiamo conoscere o concepire, e questo è quel solo che noi venghiamo a dire e a pensare ogni volta che diciamo spirito, o che pensiamo a questa idea, la quale non si può, come ho detto, definire altrimenti. Frattanto questo spirito, non essendo altro che quello che abbiam veduto, è stato per lunghissimo spazio di secoli creduto contenere in se tutta la realtà delle cose; e la materia, cioè quanto noi conosciamo e concepiamo, e quanto possiamo conoscere e concepire, è stata creduta non essere altro che apparenza, sogno, vanità appetto allo spirito.
| |
Bologna
|