Ogni uomo poi di qualche coltura, ha un sufficiente numero di cognizioni per somministrar lauta materia ad uno o due entretiens; ha i suoi discorsi, le sue materie favorite, nelle quali, se non altro per la lunga assuefazione ed esercizio, è atto a figurare, ed anche brillare; ha qualche suo motto, qualche tratto di spirito, qualche osservazione piccante o notabile ec. familiari e consueti. Per poca di abilità che egli abbia nel conversare, per poca di perizia di società, di arte della parola, facilissimamente egli tira e fa cadere il discorso, ne' suoi primi abboccamenti, sopra quelle materie dove consiste il suo forte, dov'egli ha qualche bella o buona o passabile cosa da dire; e facilissimamente trova modo di metter fuori e di déployer tutta la ricchezza della sua erudizione e della sua dottrina, di qualunque genere ella sia. Ad un letterato di professione massimamente, è difficile che manchi l'arte necessaria per questo effetto. Quindi è che chi lo sente parlare per la prima volta, resta sorpreso dell'abbondanza delle sue cognizioni, de' suoi motti, delle sue osservazioni; lo piglia per un'arca di scienza e di erudizione, un mostro di spirito, un ingegno vivacissimo, un pensatore consumato, un intelletto, uno spirito originale. Ciò è ben naturale, perchè si crede che quel che egli mette fuori, sia solamente una mostra, un saggio di se e del suo sapere; non sia già il tutto. Così è avvenuto a me più volte: trovandomi con persone nuove, specialmente con letterati, sono rimasto spaventato del gran numero degli aneddoti, delle novelle, delle cognizioni d'ogni sorta, delle osservazioni, dei tratti, ch'esse mettevano fuori.
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