Ma posto che Omero componesse veramente e meditatamente i suoi canti, in modo da ricordarsene esso poi sempre, e da insegnarli altrui, allora, esclusa anche ogn'idea di piano, non sarà poi fuor di luogo il supporre tra questi canti una certa tal qual relazione; il pensare che Omero nel compor gli uni, si ricordasse degli altri che aveva composti, e intendesse di continuarli, o vogliamo dire, di continuare la narrazione, senza (torno a dire) tendere perciò ad una meta. Anzi questa supposizione è più che naturale, trattandosi di canti che hanno un argomento comune: è certo che Omero nel compor gli uni di mano in mano, si ricordava de' precedenti. E non è egli verisimile che li cantasse sovente tutti ad uno [4325]stesso uditorio, oggi un canto, domani un altro? che l'uditorio s'invogliasse di ascoltar domani la continuazione della storia d'oggi? (ricordiamoci che allora non v'erano altre storie che in versi) che Omero nel cantare i suoi diversi componimenti seguisse un ordine, quello de' fatti? (sia il medesimo o altro da quello che si trova oggi ne' suoi poemi) che seguisse anche quest'ordine nel comporli, cioè, che dopo aver cominciato dove il caso volle, andasse avanti immaginando e narrando, soggiungendo oggi al racconto di ieri, senza (ripeto ancora) mirar mai ad altro, che a tirare innanzi la narrazione?
Così sarà spiegata plausibilmente quella tal quale unità, quanto si voglia larga, ma sempre unità, che si trova ne' suoi poemi, e massime nell'Odissea, nella quale bisogna pur convenire che è ben difficile il non riconoscere un legame qualunque tra le parti, una continuità nel racconto, un insieme, ed anche un principio e fine, nelle avventure romanzesche di quell'eroe.
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