Ed osservo di più, che nell'uno e nell'altro poema, ma più nell'Iliade, moltissimi sono quei tratti di considerabile lunghezza, ai quali non si potrebbe mai dare un titolo a parte, che non fosse frivolo; staccati dal rimanente, non hanno nessuna ragionevole importanza, e riuscirebbero noiosissimi; essi non possono interessare che dipendentemente dalla relazione e connessione che hanno col resto del racconto, come accade ne' poemi scritti con piano determinato; e in se stessi non offrono un argomento che potesse mai parer degno d'esser cantato isolatamente. Questi tratti sono troppo numerosi, troppo lunghi, e formano troppo gran parte [4326]de' due poemi, perchè si possano credere interpolati appostatamente da' diascheuasti per mettere de la liaison tra i canti di Omero.
Le ripetizioni, le cose inutili, le contraddizioni, oltre che a niuno potrebbero far meraviglia in poemi fatti, com'io dico, senza intenzione e senza piano, non annunziano che l'infanzia dell'arte, e non possono parere obbiezioni valevoli, anzi appena obbiezioni, a chi ha pratica e familiarità cogli scrittori antichi; dico assai meno antichi, assai più artifiziosi e dotti che non fu Omero; dico non solo poeti, ma prosatori. Quanto, e come spesso, debbono sudar gli eruditi commentatori per conciliare e por d'accordo seco stesso p.e. qualche antico storico, la cui opera fu certamente scritta, e con piano, e con materiali di fatti scritti da altri, o conservati da tradizione! V. p.4330.
L'infanzia dell'arte in Omero, è annunziata ancora p.e. dalla sterile soprabbondanza degli epiteti, usati fuor di luogo, senza causa o proposito, e spessissimo, com'è noto, a sproposito.
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