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      De' Greci č detto; e pių numero tuttavia di vocali scrivono gli Inglesi, e pare che parlino quasi non avessero che alfabeto di consonanti: ma chi ne' loro poeti antichi leggesse all'uso moderno, non troverebbe versi nč rime. Nč credo che altri possa additare poesia di gente veruna ove i fondatori della lingua scritta non si siano dilettati di melodia; e che non vi dominassero le vocali; e che poi non si diminuissero digradando. Anche nella prosodia latina, che era meno primitiva e tolta di pianta da' Greci, e in idioma pių forte di consonanti finali, regge l'osservazione; ed anche nelle reliquie di Ennio pochissime, pur le battute de' ventiquattro tempi dell'esametro [4387]su le vocali per via d'iato sono moltissime; e spesse in Lucilio; e parecchie in Lucrezio; non rare in Catullo; non pių di sette, che io me ne ricordi, in Virgilio; e una sola in Orazio, nč forse una in Ovidio. Or quante, se pur taluna č da trovarne in Lucano e gli altri tutti congegnatori intemperanti di consonanze, fino allo strepitosissimo Claudiano? Ben diresti che la divina commedia sia stata verseggiata studiosamente a vocali. Ma che le modulazioni non prevalessero alle articolazioni de' versi, avveniva pių presto in Italia che altrove; perchč il Petrarca aveva temprato l'orecchio alla prosodia Provenzale sonora di finali tronche pių che la Siciliana che a Dante veniva fluida di melodia. La lingua nondimeno per que' suoi fondatori fu scritta, nč mai parlata; e quindi i libri non avendo compiaciuto alle successive pronunzie, gli organi della voce hanno da stare obbedientissimi all'occhio.


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Zibaldone. Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura
Parte Seconda
di Giacomo Leopardi
pagine 1555

   





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