C’è un altro passo molto significativo dello Zibaldone (165-172) dedicato all’immaginazione quale "primo fonte della felicità umana": "Quanto più questa regnerà nell’uomo, tanto più l’uomo sarà felice. Lo vediamo nei fanciulli". Intuizione che però, subito dopo, svela e tradisce lo scotto d’un doloroso esistenzialismo, gnoseologico e cognitivo: "Ma questa non può regnare senza l’ignoranza, almeno una certa ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei limiti e definizioni delle cose, circoscrive l’immaginazione"... Di qui, due corollari ineludibili e immutabili: "1 - che la speranza sia sempre maggior del bene; 2 - che la felicità umana non possa consistere se non se nella immaginazione e nelle illusioni"...
Una sorta di giostra immaginativa, valzer delle illusioni e laica, seppur escatologica, Cognizione del Dolore (Gadda) - accompagnò passeggiando a braccetto tutta la sua Giovinezza.
Leopardi vagheggiava e soffriva ("Vagheggiare, bellissimo verbo" - annotò; Zib.4287). Soffriva di finitezza: "Il credere l’universo infinito, è un’illusione ottica: almeno tale è il mio parere. Non dico che possa dimostrarsi rigorosamente in metafisica, o che si abbiano prove di fatto, che egli non sia infinito; ma prescindendo dagli argomenti metafisici, io credo che l’analogia materialmente faccia molto verisimile che la infinità dell’universo non sia che illusione naturale della fantasia" (Zib.4292). Ma insieme tremava, e godeva, d’egualmente dolente, illusoria e rispecchiata Infinità: "Il fanciullo e il selvaggio giurerebbero, i primitivi avriano giurato, che la terra, che il mare non hanno confini; e si sarebbono ingannati: essi credevano ancora, e credono, che le stelle che noi veggiamo non si potessero contare, cioè fossero infinite di numero" (20 settembre 1827).
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