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      La sera che segue - o precede? - il giorno dell’Infinito, è una sera di luna, la luna de La ricordanza... Nella sua eclettica, comparatistica analisi su La parola pittorica, Ferruccio Ulivi avanza inoltre una suggestiva assimilazione iconografica tra Füssli, Leopardi e un qual certo "manierismo romantico", che lo spinge a sovrapporre le Operette morali al "classicismo iperbolico, stralunato, tra manierista e protoromantico di un grande pittore da poco scomparso (1825): Füssli"... Qualcosa che, imagisticamente, ben si accorda col sentimento unificante, il comun denominatore emotivo, "la chiave stessa del cuore di Leopardi", a parere di Sainte-Beve: "questo sentimento stoico della calma fondata sull’eccesso stesso della disperazione".
      Ma tal suo breve, simulato Infinito, già urge d’essere evaso, superato nella prova triste e cruda col Reale. Proprio dal trauma controllato dell’immersione nell’agone consueto del quotidiano, si distilla e prorompe l’approdo bello della poesia - che è anche, insieme, naufragio dei sensi delusi, disequilibrio sublimato del cuore. "Nessuno diventa uomo" - annoterà - "innanzi di aver fatta una grande esperienza di sé, la quale rivelando lui a lui medesimo, e determinando l’opinione sua intorno a se stesso, determina in qualche modo la fortuna e lo stato suo nella vita"... Questa grande esperienza di sé, è innanzitutto il malinconico, disamorante viaggio e soggiorno a Roma (23 novembre 1822 - fine aprile 1823), incipit e insieme culmine d’un’autoeducazione sentimentale che non poteva servirgli né a digerire né a padroneggiare le vicissitudini che pure, liricamente, lo decisero e lo guidavano.


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Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156

   





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