Chi ce l’ha detto? Noi vogliamo l’anima immateriale, perché la materia non ci par capace di quegli effetti che notiamo e vediamo operati dall’anima. Sia. Ma qui finisceogni nostro raziocinio"... Dalla dolorosa, alterna e magmatica materia spirituale del suo diario, del suo brogliaccio geniale d’intuizioni, fervido di progetti estetici esistenziali letterari, corrotto nei continui ripen-samenti, pause dialettiche, immensi malumori, raddolcito dai piccoli idilli sognati o rubati alla vita - nasce il miglior autoritratto, la più aderente soffusa e incisiva Storia dell’Anima di Giacomo. Vi troviamo - ha ragione De Sanctis - "quello che lo scrittore dettò aver l’uomo pensato, sentito e fatto"... Questa "qualità rara", di "severa conformità del pensiero e della vita", avrebbe del resto portato il grande storico della letteratura ad ammirare e privilegiare perfino nella poesia dei Canti la "transizione laboriosa" del secolo XIX, mediata, testimoniata da una "vita interiore sviluppatissima": "Ciò che ha importanza" - sottolinea il De Sanctis - "non è la brillante esteriorità di quel secolo del progresso, e non senza ironia vi si parla delle sorti progressive dell’umanità. Ciò che ha importanza è l’esplorazione del proprio petto, il mondo interno, virtù, libertà, amore, tutti gl’ideali della religione, della scienza e della poesia, ombre e illusioni innanzi alla sua ragione e che pur gli scaldano il cuore, e non vogliono morire"...
Dirò del mio spirito il male e il bene indifferentemente - è il precipuo intento estetico, più che autobiografico, di Storia di un’anima.
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