Il nostro europeismo è di second’ordine. La nostra classicità è così generica"... E tre anni prima, nel 1918, commentando "Il Leopardi moralista" per una riedizione Zanichelli, a cura di Giovanni Gentile, delle Operette, anche Tozzi intonava un felice panegirico, tanto etico che stilistico: "A rileggere questa prosa, nella quale l’asciuttezza trecentesca è agevolata da una grazia che resterà sempre eguale, anche se la nostra sciatteria finisca con il corromperci ad uno ad uno, sembra d’aver trovato finalmente un compenso per tutte le nostre ipocrisie letterarie"...
Oziose, risibili, per la sua grandezza, tutte le etichette con cui la Storia della Letteratura si prova a catalogare il Cuore della Scrittura, la Mente dello Spirito: alla domanda "È il Leopardi un Romantico, od è un Classico?", Giuseppe Ungaretti si rifiuta di rispondere in termini semplicistici: "Era un filologo, un poeta che sperimentalmente, sul vivo della carne delle Parole, delle parole che portavano nella loro carne i segni d’una storia, d’una lunga età (...) cercherà gli effetti desiderati"... Questa Storia di un’anima è la cartella clinica e insieme il diario di bordo di un’oceanica traversata sensibile. Si salpa dalle "Memorie del primo amore" ("Mi posi in letto considerando i sentimenti del mio cuore, che in sostanza erano inquietudine indistinta, scontento, malinconia, qualche dolcezza, molto affetto, e desiderio non sapeva né so di che"...) - e dalla carne mitizzata e inaccessibile della cugina maritata Gertrude Cassi, fiorisce al conte diciannovenne e frustrato la fiera, trasparente stimmata del verso; sangue raggrumato in albare reliquia del Primo Amore:
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