Or quello che non poté per niun modo la ragione né la riflessione contro la natura, lo poté in me la natura stessa e l’assuefazione; e il poté contro la ragione medesima e contro la riflessione. Perocché coll’andar del tempo, anzi dentro un breve spazio, essendo stato io forzato in certa occasione a sentire assai da vicino e frequentemente di tali scoppi, perdei quell’ostinatissimo e innato timore, in modo che non solo trovava piacere in quello che per l’addietro m’era stato sempre di grandissimo odio e spavento senza ragione, ma lasciai pur di temere e presi anche ad amare nel genere stesso quel che ragionevolmente sarebbe da esser temuto; né la ragione o la riflessione che già non poterono liberarmi dal timor naturale, poterono poscia, né possono tuttavia, farmi temere o solamente non amare, quello che per natura o assuefazione, irragionevolmente, io amo e non temo. Né io son pur, come ho detto, de’ più irriflessivi, né manco di riflettere ancora in questo proposito all’occasione, ma indarno per concepire un timore che non mi è più naturale. Questo ch’io dico di me, so certo essere accaduto e accadere in mille altri tuttogiorno, o quanto all’una delle due parti solamente, o quanto ad ambedue. Quello che non può in niun modo la riflessione, può e fa l’irriflessione.
LETTA LA VITA DI VITTORIO ALFIERISCRITTA DA ESSO
In chiuder la tua storia, ansante il petto,
Vedrò, dissi, il tuo marmo, Alfieri mio,
Vedrò la parte aprica e il dolce tettoOnde dicesti a questa terra addio.
Così dissi inaccorto.
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Alfieri
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