Mi pasceva della memoria continua e vivissima della sera e dei giorni avanti, e così vegliai sino al tardissimo, e addormentatomi, sognai sempre come un febbricitante, le carte il giuo-co la Signora; contuttoché vegliando avea pensato di sognarne, e mi parea di aver potuto notare che io non avea mai sognato di cosa della quale avessi pensato che ne sognerei: ma quegli affetti erano in guisa padroni di tutto me e incorporati colla mia mente, che in nessun modo né anche durante il sonno mi poteano lasciare.
Svegliatomi prima del giorno (né più ho ridormito), mi sono ricominciati, com’è naturale, o più veramente continuati gli stessi pensieri, e dirò pure che io avea prima di addormentarmi considerato che il sonno mi suole grandemente infievolire e quasi ammorzare le idee del giorno innanzi specialmente delle forme e degli atti di persone nuove, temendo che questa volta non mi avvenisse così. Ma quelle per lo contrario essendosi continuate anche nel sonno mi si sono riaffacciate alla mente freschissime e quasi rinvigorite. E perché la finestra della mia stanza risponde in un cortile che dà lume all’androne di casa, io sentendo passar gente così per tempo, subito mi sono accorto che i forestieri si preparavano al partire, e con grandissima pazienza e impazienza, sentendo prima passare i cavalli, poi arrivar la carrozza, poi andar gente su e giù, ho aspettato un buon pezzo coll’orecchio avidissimamente teso, credendo a ogni momento che discendesse la Signora, per sentirne la voce l’ultima volta; e l’ho sentita.
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