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      E così da quello che ne’ dì passati ho scritto, si fa bastevolmente chiaro ch’ella è nata dall’aver io inespertissimo giuocato e conversato alquanto famigliarmente con una persona d’aspetto più tosto bello, e di forme e di maniere fatte pel cuor mio; ancorché questa seconda cagione è veramente secondaria, perch’io fo conto che con questa mia inesperienza, un altro bel volto, parlando e praticando nella stessa guisa con me, m’avrebbe similmente preso, anche con tutt’altri atti e sembianze. E ho detto ch’io mi riprenderei di qualunque azione che mi dovesse o risuscitare o rinfrancare questa passione nel cuore, non già perch’io di essa mi vergogni punto; che s’al mondo ci fu mai affetto veramente puro e platonico, ed eccessivamente e stranissimamente schivo d’ogni menomissima ombra d’immondezza, il mio senz’altro è stato tale ed è, e assolutamente per natura sua, non per cura ch’io ci abbia messa, immantinente s’attrista e con grandissimo orrore si rannicchia per qualunque sospetto di bruttura; ma per la infelicità ch’ella partorisce; imperocché, posto che una certa nebbietta di malinconia affettuosa, come quella ch’io negli ultimi giorni ho provata, non sia discara, e anche diletti senza turbarci più che tanto, non così altri può dire di quella sollecitudine e di quel desiderio e di quello scontentamento e di quella smania e di quell’angoscia che vanno col forte della passione, e ci fanno s’alcuna cosa mai tribolati, e miseri. Ed io di questa miseria ho avuto un saggio nella prima sera e ne’ due primi giorni della mia malattia, ne’ quali al presente giudico di avere in fatti propriamente ed intimamente sentito l’amore: e quali siano stati i sintomi e le proprietà e in somma il carattere di questo primo amor mio, si dichiara in quelle carte ch’io scrissi nel maggior caldo degli affetti; se non che ci puoi aggiugnere un manifesto desiderio di trovare nel mio volto qualcosa che potesse pur piacere: ma questo desiderio non l’ebbi nel primo giorno, nel quale anzi avvertentemente sfuggiva la vista e il pensiero della immagine mia, non altrimenti che facessi delle facce altrui.


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Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156