Del resto tanto è lungi ch’io mi vergogni della mia passione, che anzi sino dal punto ch’ella nacque, sempre me ne sono compiaciuto meco stesso, e me ne compiaccio, rallegrandomi di sentire qualcheduno di quegli affetti senza i quali non si può esser grande, e di sapermi affliggere vivamente per altro che per cose appartenenti al corpo, e d’essermi per prova chiarito che il cuor mio è soprammodo tenero e sensitivo, e forse una volta mi farà fare e scrivere qualche cosa che la memoria n’abbia a durare, o almeno la mia coscienza a goderne, molto più che l’animo mio era ne’ passati giorni, come ho detto, disdegnosissimo delle cose basse, e vago di piaceri tra dilicatissimi e sublimi, ignoti ai più degli uomini.
Non negherò dunque di avere in questo tempo con ogni cura aiutati e coltivati gli affetti miei, né che una parte del dispiacere ch’io provava vedendogli a infievolire non venisse dal gusto e dal desiderio ch’io avea di sentire e di amare. Ma sempre sincerissimamente detestando ogni ombra di romanzeria, non credo d’aver sentito affetto né moto altro che spontaneo, e non ho in queste carte scritta cosa che non abbia effettivissimamente e spontaneamente sentita: né ho pur mai voluto in questi giorni leggere niente d’amoroso, perché, come ho notato, gli affetti altrui mi stomacavano, ancorché non ci fosse punto d’affettazione; manco il Petrarca, comeché credessi che ci avrei trovato sentimenti somigliantissimi ai miei. Ed anche ora appena con grande stento e ritrosia m’induco a lasciar cadere gli occhi sopra qualche cosa di questo genere, quando me ne capita l’occasione.
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Petrarca
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