Di Lei non mi ha parlato altri che i suoi scritti, perché qui dove sono io, non è anima viva che parli di Letterati. Ma io non so come si possa ammirare le virtù di uno, singolarmente quando sono grandi ed insigni, senza pigliare affetto alla persona. Quando leggo Virgilio, m’innamoro di lui; e quando i grandi viventi, anche più caldamente. I quali Ella ottimamente dice che sono pochissimi, e però tanto più intenso è l’affetto diviso fra tre o quattro solo. Ella che sa quanta sia la rarità e il prezzo di un uomo grande, non si meraviglierà di quello che scrivo al Monti e al Mai, né penserà che io non senta quello che scrivo, né che volessi umiliarmi e annientarmi innanzi a loro, se fermamente non credessi di doverlo fare: e certo in farlo provo quel piacere che l’uomo naturalmente prova in fare il suo debito. Non so dirle con quanta necessità, stomacato e scoraggiato dalla mediocrità che n’assedia, e n’affoga, dopo la lettura de’ Giornali e d’altri scrittacci moderni (ché i vecchi non leggo, facendomi avvisato della piccolezza loro il silenzio della fama) credendo quasi che le lettere non diano più cosa bella, mi rivolga ai Classici tra i morti, e a Lei e a’ suoi grandi amici tra i vivi, co’ quali principalmente mi consolo e mi rinforzo vedendo ch’è pur viva la vera letteratura. Quando scrivendo o rileggendo cose che abbia in animo di pubblicare m’avvengo a qualche passo che mi dia nel genio (e qui le ricordo la promessa fattale di parlarle sinceramente) mi domando come naturalmente, che ne diranno il Monti, il Giordani ? perché al giudizio de’ non sommi io non so stare, né mi curerei che altri lodasse quello che a Lei dispiacesse, anzi lo reputerei cattivo.
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