E quando qualche cosa che a me piace non va a gusto ai pochi ai quali la fo leggere, appello alla sentenza di Lei e dell’amico suo, e per vero dire sono ostinato; né quasi mai è accaduto che alcuno in fatto di scritture abbia cangiato il parer mio. Spesso m’è avvenuto di compatire all’Alfieri, il cui stile tragico, in quei tempi di universale corruzione, parea intollerabile, né so cosa sentisse quel sommo italiano, vedendo il suo stile condannarsi da tutti, i letterati più famosi disapprovarlo, il Cesarotti allora tanto lodato, pregar lui pubblicamente che lo dovesse cangiare; né come potesse tenersi saldo nel buon proposito, e rimettersi nel giudizio della posterità, che ora è pronunciato, e le sue tragedie dice immortali. Certo quel trovarsi solo in una sentenza vera fa paura, e a noi medesimi spesso la costanza par caponaggine, la noncuranza degli sciocchi giudizi, superbia, il credere d’intenderla meglio degli altri, presunzione. Buon per l’Alfieri che tenne duro, se non l’avesse fatto, ora sarebbe di lui quel ch’è de’ suoi giudici.
Io ho grandissimo, forse smoderato e insolente desiderio di gloria, ma non posso soffrire che le cose mie che a me non piacciono, siano lodate, né so perché si ristampino con più danno mio, che utile di chi senza mia saputa le ridà fuori. Le quali cose Ella leggendo, avrà riso, ma quel riso certo non fu maligno, e di ciò son contento. E perché mi perdoni la pazzia d’averle messe in luce, le dico che quasi tutto il pubblicato da me, non si rivedrà mai più, consentendo io, e che altre due veramente grosse (non grandi) opere già preparate e mandate alla stampa ho condannato alle tenebre.
| |
Alfieri Cesarotti Alfieri
|