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      Del secondo dell’Eneide che ancora non ho sentenziato, non ha da me avuto esemplare altro Letterato che i tre a Lei noti. A questi soli e con effusione di cuore ho scritto, soddisfacendo. benché con alquanto palpito, a un vecchio e vivo desiderio. Che il mio libro avesse molti difetti lo credea prima, ora lo giurerei perché me lo ha detto il Monti; carissimo e desideratissimo detto. A lui non iscrivo perché temo d’increscergli, ma Lei prego che ne lo ringrazi in mio nome caldamente. Ma ad un cieco è poca cosa dire Tu esci di strada; se non se gli aggiunge Piega a questa banda. Niente m’è tanto caro quanto l’intendere i difetti di una cosa mia, perché ne conosco l’immensa utilità, e mi pare che visto una volta e notato un vizio, abbia poi sempre in mente di schivarlo. Ma a niuno ardisco chiedere che me li mostri, perché so esser cosa molestissima il ripescare i difetti di un’opera, singolarmente quando il cattivo è più del buono. Intanto Ella sappia che una copia del mio libro è già tutta carica di correzioni e cangiamenti. Vorrei qualche volta essermi apposto e aver levato via quello che a Lei e al Monti dispiace, ma non lo spero. Ella dice da Maestro che il tradurre è utilissimo nella età mia, cosa certa e che la pratica a me rende manifestissima. Perché quando ho letto qualche Classico, la mia mente tumultua e si confonde. Allora prendo a tradurre il meglio, e quelle bellezze per necessità esaminate e rimenate a una a una, piglian posto nella mia mente, e l’arricchiscono e mi lasciano in pace.


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Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156

   





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