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      Il suo giudizio m’inanimisce e mi conforta a proseguire.
      Di Recanati non mi parli. M’è tanto cara che mi somministrerebbe le belle idee per un trattato dell’Odio della patria, per la quale se Codro non fu timidus mori, io sarei timidissimus vivere. Ma mia patria è l’Italia per la quale ardo d’amore, ringraziando il cielo d’avermi fatto Italiano perché alla fine la nostra letteratura, sia pur poco coltivata, è la sola figlia legittima delle due sole vere tra le antiche, ne certo Ella vorrebbe che la fortuna l’avesse costretto a farsi grande col Francese o col Tedesco, e internandosi ne’ misteri della nostra lingua compatirà alle altre e agli scrittori a’ quali bisogna usarle; come spessissimo è avvenuto a me, che tanto meno di lei conosco la mia lingua, la quale se mi si vietasse di adoperare con darmisi pieno possedimento di una straniera, io credo che porrei la speranza di divenir qualche cosa nella vera letteratura, e lascerei gli studi.
      Quello ch’Ella dice del bene che i nobili potrebbon fare alle lettere, è verissimo, e desidero ardentemente che il fatto lo mostri una volta. Il suo dire m’infiamma e mi lusinga: ma io non credo di poter vincere la mia natura e l’altrui. Nondimeno Ella può esser certa che se io vivrò, vivrò alle Lettere, perché ad altro non voglio né potrei vivere.
      Ma per le lettere mi dà grandissima speranza il suo Libro, dono grato a me quanto sarebbe stato una nuova opera del Boccaccio o del Casa, e tanto più che de’ suoi scritti con niun danno suo e moltissimo nostro Ella è sempre stata avara col pubblico.


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Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156

   





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