O qui sì che le raccomando di tenersi bene i fianchi, se non vuol far la morte di Margutte. Ma come credono che Belcari e Scaramelli e Ligorio sieno cose simili, così finattantoché il libro non si vede e’ se la berranno. Basta: farò quanto potrò, e lo stesso pel suo Palcani, il quale con vero piacere ho letto come cosa piaciuta a Lei e che viene da Lei, e di eleganza certo rarissima in materie scientifiche, le quali trattate così, sarebbero veramente piacevoli, dove ora sono ispide e orribili.
Mio Padre la ringrazia de’ saluti suoi, e caramente la risaluta. Io poi che le dirò, caro Sig. Giordani mio, per consolarla della disgrazia che l’affligge? se non che questa a me pure passa l’anima, e che prego Dio acciocchè il più ch’è possibile in questo mondo la faccia lieta? Consolazione non le posso dar io con questa mia eloquenza d’accattone. Gliela daran certo e copiosa il suo gran sapere e la sua vera filosofia. A scrivere a me (se vuol continuarmi questo favore) non pensi se non nei momenti di ozio, e in questi pure solo quando le torni comodo. In somma non se ne pigli pensiero più che delle cose minime, perché se vedrò ch’Ella faccia altrimenti, mi terrò dallo scriverle io, e così sarò privo anche di questo piacere. In verità mi dorrebbe assai ch’Ella volesse stare sul puntuale, primieramente con me, di poi in cosa che non lo merita, anzi non lo comporta.
Come farò, signor Giordani mio, a domandarle perdono dell’averle scritto un tomo in vece di una lettera? Veramente ne arrossisco e non so che mi dire, e contuttociò gliene domando perdono.
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